Francesco Cossiga (2011, biografia)

Da notaio a picconatore, il grande politico che visse due volte
di Filippo Peretti
da La Nuova Sardegna
18 agosto 2010


Cinquantadue anni dentro le istituzioni politiche, dove ha bruciato tutte le tappe di una carriera fatta di record, di intuizioni coraggiose, di cultura raffinata e di freschi e moderni ideali, ma anche di grandi contraddizioni, di enigmatici colpi di scena e di misteri sapientemente protetti. Come forse nessun altro statista, Francesco Cossiga ha vissuto due vite apparentemente inconciliabili: la prima taciturna da rigoroso e vecchiaggiante gestore del potere, la seconda esplosiva da «picconatore» finalmente giovane e divertito, pronto ad abbattare ogni tabù.

L’esordio. La data ufficiale del debutto politico di quello che sarà il secondo presidente della Repubblica espresso da Sassari, è il congresso provinciale della Democrazia cristiana nel 1956. Cossiga, alla guida della rivoluzione dei «giovani turchi» in nome di una linea più moderna e popolare, sconfigge il notabilato che faceva capo ad Antonio Segni. Da segretario, a 28 anni, imprime una svolta storica nella politica sarda. Molto anni dopo, al culmine delle picconate quirinalizie, sposterà all’indietro il proprio esordio rivelando che nel 1948, ventenne neolaureato in giurisprudenza, faceva parte di «una formazione di giovani democristiani armati dai carabinieri» per difendersi da un eventuale colpo di stato dei comunisti. Il vecchio amico Nino Giagu De Martini, citato come testimone, non confermerà, mettendo in crisi il lungo sodalizio.

In Parlamento. Nel 1958 Cossiga è eletto deputato. Resterà a Montecitorio per sei mandati, sino al 1983, anno in cui si candida al Senato diventandone subito presidente. E al Senato torna dopo i sette anni al Quirinale e vi trascorre, sotto diverse sigle, altre sei legislature.

Nei ministeri. Il primo incarico è del 1966 nel secondo governo Moro e segna il suo primo record: Cossiga è il più giovane sottosegretario alla Difesa e ha la delega sulla ancora occulta Gladio. E’ in questa fase che Cossiga si impadronisce del meccanismo dei funzionamenti più segreti dello Stato. L’incarico dura quattro anni, anche in governi guidati da Leone e Rumor. Nel 1974 è ministro della Pubblica amministrazione e nel 1976 entra al Viminale (il più giovane, secondo record), prima con Moro e poi con Andreotti, sino al 1978.

Kossiga. Negli anni da ministro dell’Interno combatte il movimento studentesco con il pugno di ferro e le scritte «Kossiga» compaiono minacciose sui muri di tuta Italia. Di recente, citando la sua esperienza in un’intervista, ha suggerito al governo Berlusconi di usare la forza e le provocazioni poliziesche per evitare un’escalation delle proteste contro la riforma Gelmini. Per questo viene chiesta la riapertura delle indagini sulla morte di Giorgiana Masi, la ragazza romana rimasta uccisa negli incidenti con le forze dell’ordine quando lui era al Viminale.

Il caso Moro. «Se ho i capelli bianchi e le macchie sulla pelle è perché mentre lasciavamo uccidere Moro, me ne rendevo conto», disse Cossiga dopo quel terribile 1978 dominato dall’assassinio dello statista da parte delle Brigate rosse. Il giorno successivo al ritrovamento del cadavere di Moro in via Caetani, il ministro dell’Interno si dimette. Dirà molti anni dopo: «Io ho concorso a uccidere o a lasciar uccidere Moro quando scelsi di non trattare con le Br e lo accetto come mia responsabilità, a differenza di molte anime candide della Dc».

A Palazzo Chigi. Nel 1979 Sandro Pertini gli affida il compito di formare il governo. E Cossiga, raggiungendo il suo secondo record, quello di più giovane presidente del Consiglio, ne forma due restando in carica quattordici mesi, sino all’ottobre 1980. Per lui il Pci di suo cugino Enrico Berlinguer propone la messa in stato d’accusa per aver rivelato all’amico di partito Carlo Donat Cattin che il figlio Marco stava per essere arrestato per terrorismo. La mozione viene respinta, ma Cossiga, oltre vent’anni più tardi, ammetterà di aver avuto una parte di responsabilità.

Al Quirinale. Dopo due anni di esilio volontario, nel 1983 si candida al Senato e ne diventa subito presidente (nuovo record d’età). Si intuisce che la carriera non finirà lì e infatti dopo due anni, alla prima votazione, viene eletto capo dello Stato con 752 voti su 977 (è ancora il presidente più giovane in assoluto). Vota per lui anche il Pci (Berlinguer era morto l’anno prima).

Gladio. Nel 1990 Giulio Andreotti rivela l’esistenza dell’organizzazione segreta legata ai servizi americani. Nasce uno scandalo, Cossiga difende Gladio e il proprio operato e quello degli altri «patrioti».

Il picconatore. «Devo togliermi qualche sassolino dalla scarpa» avverte Cossiga nel 1990 dopo cinque anni da silenzioso notaio (e per questo criticato). Nella sua instancabile attività di «grande esternatore» i bersagli preferiti sono la Dc e il Pci (ormai inutili, dice, dopo la caduta del Muro di Berlino), dei quali però difende la storia. Sorpresi dalla svolta, molti pensano che il presidente non stia bene. E’ lui stesso a chiarire tutto: «Non sono matto, faccio il matto per dire le cose come stanno».

Impeachment. Sul caso Gladio l’opposizione di sinistra chiede la messa in stato d’accusa del presidente. La mozione viene respinta ed egli chiarirà: «I comunisti sapevano tutto di Gladio».

Le dimissioni. Cossiga si dimette il 25 aprile 1992 e lascia il Quirinale con due mesi di anticipo sulla scadenza del settennato. Qualche anno dopo dà le dimissioni anche da senatore a vita creando qualche imbarazzo, ma l’assemblea di Palazzo Madama non le accetterà.

Gli altri misteri. Sulle stragi di Ustica e Bologna (nel 1980 era lui il premier) fa dichiarazioni pubbliche, dopo l’esperienza al Quirinale, spesso divergenti e contraddittorie, forse orientate a far riaprire le indagini. Prese di posizione che hanno segnato, più di altre, il carattere enigmatico del suo agire.

I suoi partiti. Nel 1995 Cossiga torna all’attività politica fondando (pur senza comparire ufficialmente) il Movimento italiano democratico, formazione centrista poi sostituita, con Clemente Mastella, dall’Udr.

I voti di fiducia. Nel 1994, da senatore a vita, vota a favore del primo governo Berlusconi, nel 1998 contribuisce ad abbattere Prodi e con l’Udr favorisce l’ascesa di D’Alema. Nel 1999 tuona contro il «canile di Arcore», poi fa la pace col Cavaliere ma nel 2006 vota la fiducia al nuovo governo Prodi, per fare la stessa cosa, nel 2008, per il ritorno di Berlusconi.

Il Vaticano. In politica grazie anche agli insegnamenti del vescovo Mazzotti, del segretario Enea Selis e del parroco di San Giuseppe Masia, Cossiga si è sempre mosso come cattolico «maturo», non risparmiando, soprattutto negli ultimi anni, critiche severe alla gerarchia. Nell’ultima polemica, con il cardinale Bagnasco e il segretario della Cei, Crociata, ha proposto provocatoriamente la revisione del Concordato.

Il ritiro. Nel 2006 annuncia l’addio all’attività politica. Nessuno ci crede e infatti lui continua a farne con centinaia di interviste, sei libri e, sotto pseudonimo, articoli sui giornali. Sul giornalismo ha avuto idee chiare: «Se va d’accordo col potere c’è qualcosa che non va». A Cagliari, per l’inaugurazione della sede dell’Assostampa (2003) dice una frase che verrà citata spesso: «Nella libertà di stampa è meglio un eccesso che un difetto». Negli anni del regime imperante sembra rivoluzionario. Normale per uno che ha iniziato con una rivoluzione.