Giuseppe Mani (2012)

Il vescovo antipolitico che usa i politici

di Filippo Peretti

14 APRILE 2012
Giuseppe Mani, che oggi pomeriggio celebra il suo ultimo appuntamento sardo ordinando sette nuovi sacerdoti, sarà catalogato come un vescovo “politico” anche se nessun altro è stato più lontano di lui dalla politica. Questa contraddizione che ha segnato i suoi nove anni di permanenza a Cagliari, è esplosa in modo clamoroso il giorno della visita di Benedetto XVI.


«Il mondo della politica, dell'economia e del lavoro – disse il Papa il 7 settembre 2008 sul sagrato della Basilica di Bonaria – necessita di una nuova generazione di laici cristiani impegnati, capaci di cercare con competenza e rigore morale soluzioni di sviluppo sostenibile». Parole che da allora sono ripetutamente citate dalla Chiesa in Italia e in Europa, ma che sono state subito dimenticate proprio a Cagliari: per la semplice ragione che sono lontane anni luce dal pensiero di Mani. E non sarà quindi un caso se il Vaticano ha scelto come suo successore Arrigo Miglio, il quale, nelle due esperienze episcopali di Iglesias e di Ivrea e nella sua prima dichiarazione dopo la nuova nomina, ha dimostrato grande attenzione verso i problemi sociali e grandi aperture nel rapporto con i laici. Polemiche.

Non è che monsignor Mani abbia evitato i rapporti con la politica. Anzi. Alcuni sono stati persino troppo intensi e hanno provocato polemiche che durano ancora. Il fatto è, però, che egli non può essere considerato un "politico" perché non ha nulla, né la tendenza né l'aplomb, dei vescovi che credono di dover condizionare gli indirizzi generali della vita pubblica, e non soltanto sulla libertà religiosa e sui temi etici. Mani non ha il gusto della politica politicante, non stima i politici che fanno carriera e non ha mai manifestato l'idea di plasmarli secondo le linee della dottrina sociale della Chiesa. No, egli si limita a usarli.

Con il suo fare brusco e schietto da toscanaccio irriverente, con l'immancabile e simpatico sorriso che talvolta somiglia più a una provocazione che a una carezza, con il suo metodo pragmatico e utilitaristico che ha caratterizzato tutta la sua gestione, Mani si è fatto davvero pochi amici tra gli inquilini delle stanze del potere. Ma nonostante questo, ha sempre ottenuto ciò che voleva: una continua pioggia di soldi pubblici per rifare a nuovo il seminario, costruire il college universitario, restaurare la cattedrale e restituire alla città il gioiello dell'episcopio. Tutte opere che stavano cadendo in rovina e che ora lascia in eredità. Insomma, un manager. Duro e instancabile, certamente capace. Militare.

Quando nel 2003 è arrivato a Cagliari tutti hanno pensato che Mani, che pure era indicato come membro dell’ala progressista della Chiesa, in realtà fosse di destra. Un po’ per la fama da generale che si era fatto da ordinario militare, un po’ perc hé si è subito trovato a proprio agio con il presidente della Regione Italo Masala (An), che gli ha immediatamente finanziato il college, sia con il sindaco Emilio Floris (Forza Italia). Ma quando è arrivato il turno di Renato Soru, Mani lo ha preso subito in simpatia e lo ha invitato più volte a  pranzo in seminario con l’intera Conferenza episcopale sarda. E dalla gestione di Soru e del centrosinistra egli ha ricevuto altre autorizzazioni e altri fondi, compresi quelli per la visita del Papa.

La svolta politica che ha esposto l’arcivescovo di Cagliari a molte polemiche avviene tra il 2008 (alla visita del Papa l’allora premier Silvio Berlusconi ha potuto dare vita ad autentici bagni di folla) e il 2009, quando in seminario, assieme a Berlusconi, dà il via alla campagna elettorale della Chiesa a favore di Ugo Cappellacci. Che poi, dopo la vittoria su Soru, nominerà assessore alla Cultura Lucia Baire, direttrice del museo diocesano e presidente del comitato organizzatore per la visita di Benedetto XVI. La Baire è ancora oggi persona di fiducia di Mani. Il quale, però, ha smentito di averla sponsorizzata: «Se l’avessi designata io – ha detto – Cappellacci non mi avrebbe fatto il torto di non confermarla dopo due anni».

Mani ha smentito anche il rapporto politico con Cappellacci né un feeling con Berlusconi. «Nessuna campagna elettorale – ha spiegato – solo un incontro che mi era stato chiesto». E ha aggiunto: «Sono amico di Romano Prodi, anche se il mio punto di riferimento era Beniamino Andreatta, un vero gigante. Siamo tutti figli di Dossetti». E vanta amicizie non solo con gli eredi del politico fattosi monaco, ma anche con gli eredi del comunismo: «Ottimo rapporto con Massimo D’Alema e con Marco Minniti». Quando egli era ordinario militare a Roma e D’Alema e Minniti a Palazzo Chigi. E nell’ultimo anno ha “adottato” il giovane sindaco di Sel, Zedda, che anche in pubblico chiama confidenzialmente Massimo. Insomma, nessuna colorazione di partito o di schieramento. Tanto che qualcuno ha ironizzato sul suo cognome al plurale: «Sa usare sia la destra sia la sinistra».

Grande attenzione, quindi, verso le istituzioni ma per ragioni pratiche e materiali. Nella sua azione pastorale non c’è stato spazio per il dialogo con la politica. Tanto che diversi dirigenti di partiti di ispirazione cristiana, abituati a rapporti continui e ravvicinati con la Curia, sono rimasti delusi. Mani, però, è andato dritto sulla sua strada. Sino a rompere persino tradizioni consolidate, come quella della Scuola di fede e di cultura politica, sapientemente guidata per anni da don Vasco Paradisi, il prete operaio e parroco di Sant’Elia. Quella istituzione è stata chiusa senza neanche tante spiegazioni. Mani si è limitato a dire: «Non funzionano da nessuna parte, servono solo all’ambizione di chi si vuole candidare. L’ambizione per noi è peccato».

Una politica, quindi, che egli non stima come servizio, al contrario di ciò che ha detto il Papa proprio a Cagliari, ma che vede solo come carriera personale. Stesso discorso per il rapporto con il mondo sociale. Sotto la sua guida la Conferenza episcopale sarda non ha approvato un solo documento. E la delega per i problemi del lavoro, una volta assegnata a don Vasco Paradisi, è passata a don Pietro Borrotzu, della più sensibile diocesi di Nuoro.

L’azione pastorale molto intensa di Mani si è svolta tutta all’interno della Chiesa: dalla missione cittadina al sinodo diocesano, la mobilitazione dei fedeli non è mancata ma, così come per la politica, la collaborazione con i laici è andata diminuendo nel tempo sino a quasi scomparire. E mentre tutta la Chiesa cattolica intensifica gli sforzi per aprirsi al dialogo con vecchi e nuovi media (una delle grandi novità del Concilio), Mani ha preferito la propria ricetta, anche qui tutta interna, sulla comunicazione sociale puntando solo sul “suo” bello ma autoreferenziale giornale diocesano.