Pierluigi Bersani (2013)

"Ecco cosa farò per la Sardegna"
da La Nuova Sardegna del 14 febbraio 2013
Pierluigi Bersani, sul tavolo del futuro governo ci sarà il fascicolo della Vertenza Sardegna, che ora è a un punto morto. Gli ultimi governi sono stati sordi, l'isola è tra le regioni più arretrate sotto il profilo economico e sociale. Cosa farà lei in caso di vittoria?
«Prima dico che la Sardegna non è tra le regioni più arretrate, non diamo un'immagine peggiore della realtà e mettiamo dei punti fermi».

Cosa vuole dire?
«Voglio ricordare che nei periodi dei governi di centrosinistra l'isola ha fatto molti passi avanti e per molti aspetti è stata di esempio nel Paese».
Quali esempi può citare?
«Dalla tutela dell'ambiente e del paesaggio, al diritto allo studio e la razionalizzazione dei costi della politica».
E poi cosa è successo?
«È in questi ultimi quattro anni – così come nel precedente governo Berlusconi 2001-2006 – che tutto si è fermato, complici le giunte regionali di centrodestra, come quella attuale, che dire inadeguata è un eufemismo».
Qual è la sua ricetta?
«Vale per la Sardegna ciò che dico per il Paese: occorre una ripartenza».
Limitiamoci all’isola. Da dove ripartire?
«Nei giorni scorsi il segretario del Pd sardo Silvio Lai mi ha posto quattro temi che mi sembrano siano quelli più significativi. Il primo è il pieno e definitivo rispetto del sistema delle entrate fiscali, il secondo il superamento del gap infrastrutturale a partire dal tema dei trasporti. Il terzo è lo sviluppo industriale del futuro, ecocompatibile e innovativo. L'ultimo è il tema legato all'insularità, allo shock demografico imminente».
Partiamo dalle entrate, vertenza che si è arenata nel contenzioso giudiziario tra Regione e Stato.
«Ecco, è l’esempio di come, anche per la Sardegna, i governi di centrosinistra creano e quelli di destra distruggono. Il nuovo sistema delle entrate fiscali nasce nel 2006 con l'accordo firmato da Prodi ed è poi bloccato da Berlusconi e Tremonti. Noi lo riprenderemo».
Ha parlato di infrastrutture, scuola, innovazione, lavoro, trasporti.
«Anche qui, un governo di centrosinistra, quello di D'Alema, nel 1999 ha firmato un'intesa istituzionale con la Regione su tutti questi punti. Un grande accordo che il successivo governo di centrodestra ha bloccato. Non è un caso se parlo di ripartenza».
La continuità territoriale della Sardegna deve rimanere un sogno?
«Assolutamente no. Occorre ricordare che la continuità per le persone la Sardegna l'ha avuta sempre con i nostri governi e le nostre Giunte regionali e le ha viste pasticciare o ridimensionare da altri. Anche gli ultimi "favori" alle compagnie aeree con la possibilità di cancellare voli avviene in questo contesto. La Sardegna è una parte d'Italia e una parte dell'Europa, va garantito il diritto alla continuità di cittadini e imprese in questo doppio contesto, come diritto intangibile».
Bisogna fare anche i conti con l’Europa.
« Certo, con l’obiettivo di garantire un moderno diritto alla mobilità. Guardo al Mezzogiorno e alle sue interconnessioni interne, compresa la Sardegna, e alla funzione di raccordo con la sponda sud del Mediterraneo. La Sardegna, il Mezzogiorno sono la base logistica, funzionale e politica di un rapporto tra l'Europa e l'Africa, con il Mar Mediterraneo come raccordo e non come separazione».
Parliamo dello sviluppo economico. Industria e ambiente sono incompatibili?
«Non c’è nessun contrasto.Noi abbiamo scelto cinque strade concrete per il lavoro, tra queste il piano industria 2020 e la green economy. Per fare industria non si torna indietro alla insicurezza dei lavoratori e all'indifferenza per la salute dei cittadini e dell'ambiente circostante».
Innovazione nel rispetto dell’ambiente?
«Sì, è la cornice dello sviluppo futuro».
Che fare in Sardegna?
«C’è bisogno che riparta il sistema industriale italiano e di scelte che rilancino il settore manifatturiero. Ma ha anche bisogno che si facciano le bonifiche delle aree industriali inquinate e di quelle utilizzate per scopi militari che sono superati dai nuovi sistemi di difesa».
Quali scelte dopo le bonifiche?
«Saranno i sardi a scegliere il mix tra manifatturiero, grande e piccola industria, tra agricoltura e turismo e sono certo che lo faranno con uno sguardo rivolto al futuro come hanno saputo fare quando sono stati ben rappresentati».
Soprattutto in tempi di crisi i cittadini chiedono risposte concrete. Quali sono le vostre proposte?
«Ci sono strade che non si escludono a vicenda. Vedo l'innovazione insita nella sfida della chimica verde, sulla quale l'Italia può essere una frontiera avanzata ma guardo con interesse al cambio di rotta di Eni sulla chimica di base, che penso sia irrinunciabile per un Paese industriale».
Su ciò che permane del sistema industriale nell’isola c’è la grande incognita delle multinazionali.
«Gli impegni devono essere mantenuti e su quelli non permetteremo distrazioni».
A quali si riferisce?
«Penso alle bonifiche delle aree industriali nel Sulcis e a Porto Torres, penso agli impegni sulle centrali elettriche per la costruzione del quinto gruppo come a Fiumesanto».
L’energia a costi elevati è uno dei limiti dell’economia sarda.
«Occorre uno sguardo lungo perché la Sardegna non può continuare a pagare il prezzo dell'isolamento e dell'assenza del metano».
C’è grande incertezza anche sulle bonifiche delle aree militari.
«Con la riconversione da una economia di guerra ad una di pace vanno evitati gli errori recenti, come quella di La Maddalena».
Di chi è la responsabilità?
«Quel moderno progetto di riconversione è rimasto a metà sull'altare dei pasticci degli affari del G8 di Berlusconi».
Come agire nelle altre aree militari?
«La Sardegna ha avuto il consenso unanime della commissione uranio impoverito per la riconversione del poligono di Quirra, con l’avvio rapido delle bonifiche, e per la chiusura degli altri due, Teulada e Capo Frasca».
Quali saranno i tempi?
«Noi siamo d'accordo con quella decisione sulla quale hanno lavorato i nostri parlamentari e vogliamo velocizzare le soluzioni».
La Sardegna è una regione che sta invecchiando rapidamente, è ripresa l'emigrazione, anche dei giovani laureati. Che futuro c'è per le nuove ge nerazioni?
«Intanto vanno garantiti i tre diritti fondamentali che oggi sono messi in discussione in Sardegna e in parte del Mezzogiorno, scuola, salute e lavoro, e non per responsabilità dei sardi ma di chi ha governato il Paese e la Regione in questi anni»
La sfida del lavoro non è facile. Come superarla?
«Con il rilancio dell'economia, le bonifiche, le nuove frontiere industriali, le risposte al sistema agricolo sardo, il grande sistema dell'allenamento ovino, la liberazione dagli oligopoli locali come dal peso delle multinazionali che non hanno più avuto interlocuzioni adeguate».
Ci sono le risorse per garantire scuola e sanità pubblica di qualità e per tutti in un' isola grande e poco popolata come la Sardegna?
«Dovremo lavorare perché la qualità dei servizi di welfare sia la stessa in tutto il Paese. Questo non significa che sia un obiettivo semplice da raggiungere, né che non vi debbano essere aggiustamenti da fare. Ma la meta è quella».
Si può allargare la spesa?
«Non serve. Va resa più efficiente. In certi periodi i sardi hanno dimostrato di saperlo fare. I diritti fondamentali vanno garantiti, non possono essere i cittadini a pagare i cambiamenti politici».
Il Pd propone il sistema della fiscalità di vantaggio. Nei giorni scorsi la giunta regionale ha deciso di avviare le procedure per l'istituzione di sei aree portuali extradoganali e di chiedere che l'Unione europea entro il 24 giugno inserisca l’isola nelle aree in cui è possibile realizzare una zona franca integrale. Cosa ne pensa?
«Serve una proposta di stampo europeo e non velleitaria o, peggio ancora, propagandistica».
Qual è la sua idea?
«I sei porti franchi sono una novità risalente ad un decreto legislativo del governo Prodi che li istituiva nel 1998».
Sono stati accumulati molti ritardi.
«Sì, oggi anche sulle zone franche urbane. Ma si può recuperare il tempo perduto».
Come introdurre la fiscalità di vantaggio?
«Per un tempo e per territori definiti. Per permettere la ripartenza di un sistema imprenditoriale che si rafforzi e possa camminare da solo dopo la crisi.
Cosa pensa della proposte della giunta regionale?
«Propaganda, con il rischio di avere soluzioni meno vantaggiose del sistema delle entrate».
Bersani, lei si è impegnato su molti punti. Pronto a sottoscrivere un contratto con i sardi?
«I contratti li lascio a Berlusconi e abbiamo visto che fine hanno fatto. Io presento le nostre proposte. E ho già dimostrato che faccio quel che dico».
Per concludere parliamo del Pd. Le primarie hanno rilanciato il partito e la coalizione di centrosinistra, ma hanno provocato anche tensioni. Lei ha dichiarato che i democratici sardi saranno presenti, in Italia e in Europa, nei luoghi dove si decide il destino dell'isola.
«Si. Per quanto riguarda l'Europa occorre modificare il collegio elettorale per garantire nel parlamento di Strasburgo la rappresentanza regionale della Sardegna, che ora soccombe rispetto alla maggiore dimensione dell'elettorato della Sicilia. Lo faremo con una legge che intendiamo approvare nei primi mesi della nuova legislatura».
Non è la prima volta che ci sono proposte di questo genere. Ma gli impegni sono stati quasi sempre disattesi.
«L'ho ben presente. E di Berlusconi ricordo non solo le promesse sulle presenze nei suoi governi, ma soprattutto il modo strumentale con cui ha "usato" l'isola. Penso alla bandiera dei quattro mori o alla telefonata a Putin. Una totale mancanza di rispetto della cultura e dell'identità dell'isola».
Sulla presenza in Europa e nel governo c’è quindi una promessa?
«Non è questione di promesse o di concessioni. Credo che all'isola vada dato il riconoscimento di responsabilità che merita un popolo responsabile e autonomo».