da La Nuova Sardegna
18 agosto 2010
18 agosto 2010
Figlio di un sardista e per parte di madre
nipote dell’ideologo del Psd’Az Camillo Bellieni, il democristiano Francesco
Cossiga ha trascorso tutta la carriera politica a Roma ma è sempre stato
profondamente autonomista. Sin dagli esordi professionali: all’università di
Sassari il suo primo insegnamento è stato di diritto costituzionale
regionale.
Con la rivoluzione dei «giovani turchi» (1956) Cossiga ha impresso una svolta nella politica regionale, quella della Rinascita, la cui gestione per conto della Democrazia cristiana era stata affidata agli altri esponenti sassaresi, da Paolo Dettori a Pietro Soddu e Nino Giagu De Martini.
Con la rivoluzione dei «giovani turchi» (1956) Cossiga ha impresso una svolta nella politica regionale, quella della Rinascita, la cui gestione per conto della Democrazia cristiana era stata affidata agli altri esponenti sassaresi, da Paolo Dettori a Pietro Soddu e Nino Giagu De Martini.
Cossiga non si occupava direttamente delle cose isolane, ma di quello che succedeva da Cagliari e Sassari passando per Nuoro e Oristano sapeva sempre tutto. E ha sempre avuto grande influenza sulle scelte locali e su altre istituzioni, come il Banco di Sardegna.
Anche per via della storia familiare
ha avuto un rapporto di grande affetto e stima con il Psd’Az. Un solo esempio.
Nel 1987 inviò dal Quirinale un messaggio al presidente della giunta regionale
di sinistra, il suo amico sardista Mario Melis, in occasione di un difficile
congresso dei 4 Mori.
Il messaggio sottolineava con forza la tradizione
democratica del Partito sardo d’Azione. Fu una picconata ante litteram al
segretario nazionale della Dc, Ciriaco De Mita, che nel 1984 aveva parlato dei
sardisti come di «mezzo terroristi», e a quella parte della sinistra che voleva
rovesciare Melis per via della linea «indipendentista» del partito giudicata
incompatibile con la fedeltà alla Costituzione e allo Statuto. Fu grazie a quel
messaggio che Mario Melis potè replicare agli alleati: «Cosa andate cercando se
è il capo dello Stato a smentirvi?».
Dopo la sua esperienza al Quirinale, passata la bufera politica dell’impeachment, Cossiga ha cercato di assumere il ruolo di punto di riferimento dei parlamentari sardi. Ad ogni inizio di legislatura li riuniva in ristorante nella speranza di convincerli (inutilmente) a muoversi in autonomia, rispetto alle sigle nazionali, ogni qual volta c’erano da difendere gli interessi dell’isola.
L’ultima volta ci ha provato nel
2003, quando ha presentato al Senato la sua proposta di legge costituzionale di
riforma dello Statuto sardo. Il titolo era eloquente: «Costituzione, o Noa Carta
de Logu». E’, disse, «il testamento politico per la mia terra». Cercò di
trasmettere un po’ di coraggio ai suoi colleghi deputati e senatori:
«L’indipendenza o l’autonomia non vengono mai concesse, bisogna
prendersele».
Il suo punto di riferimento, per l’autonomismo internazionale, erano gli scozzesi e gli irlandesi (e in Scozia e in Irlanda si rifugiava spesso) e soprattutto i catalani e i baschi (spagnoli e francesi). Per via di queste simpatie politiche è andato incontro a incidenti diplomatici. In difesa di Batasuna, il partito nazionalista considerato (sino a essere messo fuorilegge) il braccio armato dei terroristi dell’Eta, si è apertamente scontrato con l’allora premier spagnolo Aznar, al quale ha dato del «franchista». Un altro incidente diplomatico fu sfiorato anche nel 2002 quando Cossiga aveva dovuto rinunciare a malincuore, su pressione del governo francese di Jospin che non gradiva i suoi rapporti con il partito nazionalista dei baschi Euskadi, a una vacanza a Biarritz.